Ah, la vita del proprietario immobiliare: quel delicato equilibrio tra sogni di rendite facili e incubi notturni fatti di urla, schiamazzi e vibrazioni da stadio nelle pareti del condominio. Chi si illude che affittare un appartamento significhi mettere il piede in una pacchia economica, dormendo sonni tranquilli, probabilmente non ha mai avuto la “fortuna” di conoscere un inquilino molesto.
Quei personaggi capaci di trasformare un’oasi di pace in un piccolo inferno quotidiano. Ma oggi, finalmente, una buona notizia che suona come una sinfonia… silenziosa: la recente sentenza 812/2025 del tribunale di Bergamo ha chiarito che basta un solo, singolo episodio di disturbo per poter mandare via il fastidioso inquilino, stracciando il contratto di locazione.
Sì, avete capito bene: non serve più sopportare mesi di notti insonni, decine di lamentele raccolte con pazienza olimpica o accumulare una collezione di messaggi e denunce. La legge mette la parola “fine” a certi teatrini rumorosi e molesti con una decisione chiara e liberatoria. Un solo episodio, grave e inequivocabile, può essere la miccia che fa scattare lo sfratto. Tradotto in parole povere: se il vostro affittuario trasforma il condominio in una discoteca non autorizzata, o si compiace nel disturbarvi la pace familiare, quella pacchia per lui finisce lì, senza appello.
Ma cosa si intende per “molestie” davvero?
La legge non parla solo di rumori, ma di tutto un campionario di fastidi che superano la normale tollerabilità. Parliamo di rumori molesti che vanno oltre il semplice motorino che passa sotto casa; di odori nauseabondi che invadono spazi comuni e privati; di fumi “creativi” che si spargono dagli appartamenti come fossero camini del XIX secolo; di vibrazioni capaci di mettere alla prova la resistenza delle finestre; di urla da opera lirica improvvisata che fanno venire voglia di prendere i tappi per le orecchie a livello professionale; di occupazioni abusive degli spazi comuni, trasformando il pianerottolo in un deposito di roba inutile; o di comportamenti da “bullo del palazzo”, come limitare con arroganza l’uso delle parti comuni da parte degli altri condomini. Tutto ciò che va oltre il limite della “normale tollerabilità” - un concetto stoppato dall’articolo 844 del Codice Civile, che stabilisce come regola base la convivenza civile – è da considerarsi abuso della cosa locata, e quindi motivo per poter chiedere una rescissione contrattuale.
Nel caso oggetto della sentenza bergamasca, la locataria non si è certo risparmiata nell’interpretare la parte della strega del vicinato: con il convivente e il figlio hanno raggiunto livelli da record di inciviltà condominiale. Schiamazzi continui che disturbavano la quiete pubblica, manomissioni di impianti comuni come la caldaia o il contatore del gas, danneggiamenti di finestre e cassette postali e, per finire in bellezza, la violazione della privacy degli altri con la raccolta e lo smaltimento abusivo della loro corrispondenza. Insomma, una vera e propria occupazione militare del condominio, fra aggressioni verbali e comportamenti da sfida continua. La situazione è diventata così insopportabile da far scappare anche i condomini più pazienti, in cerca di serenità altrove.
E sappiate che questa non è una sentenza isolata, né una scoperta dell’ultima ora. La Cassazione, già nel 2020 con la sentenza 22860, aveva chiarito che un solo episodio grave di disturbo può bastare per considerare l’inadempimento contrattuale e legittimare la risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 1453 del Codice Civile. La legge non richiede una lunga serie di errori o continui fastidi, ma valuta se quel singolo comportamento abbia davvero un impatto negativo sul rapporto locativo.
La Suprema Corte, quasi quarant’anni fa (sentenza 6751/1987), aveva del resto già spiegato che un comportamento molesto, sia esso diretto dall’inquilino o dai conviventi, che causi fastidi e rumori eccessivi agli altri inquilini configura di per sé un abuso della cosa locata. In parole semplici, il conduttore è responsabile anche per quei comportamenti che danneggiano la quiete comune, e se tollerate queste molestie senza reagire, rischiate di dover rispondere voi verso gli altri condomini.
Il principio fondamentale che emerge è che spetta al giudice del merito - non a voi singolarmente o all’ultimo residente nervoso - valutare la gravità dell’inadempimento contrattuale e decidere se sia il caso o meno di risolvere il contratto. Quindi, cari proprietari, il consiglio è semplice e pratico: non aspettate che la situazione degeneri. Nel vostro contratto di locazione inserite una clausola chiara e inequivocabile che preveda la risoluzione immediata del rapporto contrattuale in caso di molestie accertate a danno del condominio.

Dunque, armatevi di firme, prudenza, e di quella buona dose di fermezza che serve per far capire ai vostri inquilini: la festa finisce quando qualcuno ha bisogno di dormire, di vivere in pace o di aprire la propria finestra senza dover subire urla o danni vari. La legge oggi vi dà una mano concreta, ricordandovi che affittare non significa subire, ma garantire una convivenza civile e un diritto alla quiete sacrosanto. Insomma, se pensavate che il vostro ruolo fosse solo quello di incassare l’affitto e lavare le mani davanti ai problemi del vicinato, vi sbagliavate di grosso. È ora di alzare la voce, mettere in chiaro i limiti e far valere quei diritti che la giurisprudenza ha finalmente confermato in maniera chiara e senza tentennamenti. Perché, al di là dell’ironia e del sarcasmo, la serenità del condominio è un bene prezioso che i proprietari hanno tutto il diritto (e il dovere) di tutelare.
geom.Pesante Guido
pesanteguido@progeocasa.it